Quando Giulia ha visto quei segni sulle braccia di Carlotta,
non riusciva a crederci… e ancora adesso un misto di incredulità e di vergogna
le impedisce di parlarne serenamente, le viene subito da piangere. Com’è potuto
accadere? Come può non essersene accorta prima? Proprio la sua Carlotta uscita
da poco da un infanzia felice, studentessa modello prima alle medie e ora al
primo anno di liceo classico! Quei segni
rossi sul corpo della figlia sembra che le urlino una rabbia che non capisce,
una tristezza che non ha nessun senso per lei. Carlotta è sempre stata una
ragazzina serena, piena di vita, senza pensieri. Certo, nell’ultimo anno, aveva
notato a volte un velo di tristezza nei suoi occhi, un che di serietà… ma aveva
attribuito tutto ai tanti pensieri, al troppo studio che la nuova scuola
richiedeva. Si rendeva conto che Carlotta era molto cresciuta negli
ultimi due anni, che non era più la bambina obbediente e spensierata di qualche
anno fa, ora era un adolescente:il suo look era cambiato e gli abiti scuri
avevano sostituito le solite sfumature di rosa, il linguaggio era più sguaiato,
a volte aggressivo, ma nulla l’aveva preparata a quello che aveva visto, a quei
segni terribili che la ragazza si era procurata da sola…
Eppure sul momento aveva mantenuto la calma, aveva cercato
di capire, l’aveva sgridata, l’aveva abbracciata e poi ancora rimproverata....
Ma da allora il dialogo era bloccato, come se si fosse creato un
muro tra loro, le incomprensioni continuano a crescere e quei segni continuano
a moltiplicarsi.
Solo quando aveva trovato il coraggio di parlarne finalmente
con il padre di Carlotta, da anni separato da lei e residente all’estero, si è
resa conto della necessità di chiedere un aiuto specialistico e si era decisa a
rivolgersi ad una psicoterapeuta.
Convincere Carlotta a farsi aiutare non è
stato facile, ma ora che il “segreto” non è più tale è stato possibile
riprendere un dialogo, (se pure faticoso come può essere quello tra madre e
figlia adolescente) e ci si sente meno soli,
meno impotenti.
Adolescenti che si tagliano con coltellini, forbici, pezzi
di vetro. Il sangue sgorga, sembra che la tensione si allenti e ci si possa
rilassare un po’. Il fenomeno del “cutting”
si sta diffondendo anche in Italia, soprattutto tra le ragazze tra i 13 e i
16 anni.
I numeri sono già allarmanti,
si parla di circa 200.000 adolescenti,
soprattutto ragazze. Il fenomeno sembra
contagioso e si sta diffondendo con gran rapidità. Si tratta di un momento
critico legato all'adolescenza e scomparirà col tempo? E’ un comportamento
preoccupante che rischia di cronicizzarsi? E’ una manifestazione di squilibrio
mentale?
Sono molte le domande che si pongono i genitori quando si
accorgono di questi atti di autolesionismo ed è importante riuscire a non
drammatizzare, né sottovalutare questo gesto estremo, che spesso costituisce una
forma di comunicazione, un grido di aiuto. Una richiesta d’aiuto che però
raramente viene rivolta direttamente all’adulto, di solito viene comunicato in
gran segreto al miglior amico o al contrario esibito senza pudore con foto e
video postate sui social.
Spesso il segreto in famiglia è custodito
accuratamente con pantaloni e maniche lunghe anche in estate, la rinuncia a partecipare
a situazioni in cui è necessario denudarsi, anche parzialmente, l’abbandono di
attività sportive, il rifiuto di sottoporsi a visite ed esami medici,… Quando
però finalmente, in modo del tutto casuale, questo problema viene
scoperto, è importante raccogliere questa
rivelazione come una comunicazione estrema di disagio. Un disagio che spesso è
legato all’adolescenza, alla grande virulenza dei sentimenti, alla sensibilità portata all'estremo, alla
vulnerabilità e persino all’inaffrontabile sentimento di noia che sono caratteristici
dell’età.
Solo in pochi casi è veramente segno di un disagio mentale grave
e può essere legato a traumi psicologici gravi (bulling, violenze, abusi), a patologie dell’umore (depressioni), a
disturbi alimentari o a disturbi della personalità.
La scoperta di questo comportamento deve dunque essere un’occasione
per aprire un dialogo empatico con l’adolescente, per offrirgli sostegno e
disponibilità allascolto, pur nella consapevolezza dell’estrema difficoltà che
a quell’età si incontra nell’essere consapevoli e nel comunicare le fonti del
proprio disagio, le cause della sofferenza.
In molti casi può essere d’aiuto il consultare uno specialista,
cercare aiuto presso uno psicoterapeuta specializzato in problematiche
adolescenziali, che possa, attraverso una consultazione ed un percorso di breve
o media durata, aiutare l’adolescente a trovare altri canali per comunicare e
alleviare il proprio dolore mentale. Compito del terapeuta sarà anche quello di
sostegno alla famiglia perché possa comprendere ciò che sta accadendo e essere
d’aiuto all’adolescente.